"Uno Stato non l'ha mai visto nessuno, né ad occhio nudo, né in una foto presa dall'aereo" (Regis Debray). E lo stesso sembra valere per le nazioni, le classi sociali, i governi, le banche, le università, le federazioni sportive. Eppure noi abbiamo quotidianamente esperienza di questi oggetti. Ne parliamo con la stessa facilità con cui parliamo di cose e di persone.
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Li nominiamo, li contiamo, li descriviamo, spieghiamo il nostro comportamento a partire da essi. Ma che tipo di entità sono queste? Qual è il loro statuto ontologico? Che tipo di esistenza hanno? Quale ruolo ha il linguaggio nella costruzione di esse? In altri termini, "dove e come sono le cose sociali se non le si possono toccare o vedere?" (GaBffeT Tarde). "Come è possibile che esistano oggetti come le banconote, i partiti politici, i sindacati, i presidenti della repubblica, le cerimonie di matrimonio, in un mondo che la fisica ci descrive come un insieme di particelle atomiche che si muovono in campi di forza?" (John R. Searle).
Nel volume Ontologia sociale. Potere deontico e regole costitutive, ventidue studiosi provenienti da aree disciplinari differenti (filosofia del diritto, teoria politica, filosofia del linguaggio, linguistica, sociologia del diritto), si interrogano sullo statuto ontologico degli oggetti e delle entità sociali, sulla struttura invisibile e immateriale della nostra società.