I generi al confine tra letteratura e discorso quotidiano - dalla novella all'articolo giornalistico, dalla lettera al diario -, generi che M. Bachtin ha definito "generi intercalari", compaiono nella struttura del romanzo ottocentesco per mimare la rappresentazione dei linguaggi della realtà.
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Indizi di un'interdiscorsività "attiva", apparizione dell'incompiutezza del presente di fronte all'aspirazione del romanziere a narrare la totalità del reale, i "generi intercalari" costituiscono anche un vero e proprio avantesto della forma-romanzo.
Così i tentativi di romanzo della contemporaneità di Borsieri e del gruppo del "Conciliatore", la scrittura giornalistica e novellistica di Nievo - analizzati nel saggio - rappresentano altrettante tappe della fondazione del canone romanzesco. Esiliato dalle proprie radici "naturali", costretto a confrontarsi con una Storia talora incomprensibile, l'eroe ottocentesco appare spesso diviso tra la ricerca della felicità e una vocazione alla libertà. Mettere in forma quest'idillio interrotto, trovare le scritture per rappresentarlo è il compito che si propone il romanzo, canone "aperto" in alternativa al canone "alto" e sublime della tradizione poetica italiana.
L'attenzione storiografica ai contesti intellettuali e l'indagine filologica ai luoghi e alle fonti di elaborazione del genere, presenti nel saggio, sono quindi funzionali a un problema di teoria letteraria: descrivere e interpretare il passaggio dalla forma conchiusa e armonica del romanzo idillico settecentesco a quella programmaticamente "spuria" e incompiuta del romanzo di formazione ottocentesco.