Nelle manifestazioni del movimento dei movimenti di Genova (luglio 2001), Firenze (novembre 2002), Roma (febbraio 2003) non sono certo mancate le bandiere rosse, i canti della tradizione del movimento operaio, partigiano e quelli inneggianti al comunismo, come non sono mancate le presenze anarchiche, quelle di gruppi della controcultura e dell'estrema sinistra europea.
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Tanto il rosso, ma, se ci è consentito citare il cantante Tiziano Ferro, senza apparire blasfemi, si tratta di un "rosso relativo"; un rosso che viene dal passato e cerca, nelle sue componenti più aperte, di dialogare con una realtà nuova, che prima non c'era. A differenza di quella degli anni sessanta e settanta, l'atteggiamento della nuova generazione verso il "rosso" è di cautela, non di rifiuto, ma neanche di adesione: per ora stanno a guardare, con l'attenzione di chi è venuto dopo e assiste allo scorrere di un filmato storico. Il giudizio è sospeso.
Questo movimento rappresenta una nota di speranza dopo la "fine" delle ideologie del novecento e sembra in grado di riunificare i movimenti di opposizione e di resistenza che durante gli ultimi vent'anni sono nati in varie parti del mondo. Emerge una prospettiva nuova là dove la politica delle socialdemocrazie e del riformismo neoliberale hanno fallito, determinando apatia, caduta di partecipazione, riduzione della politica a tecnica realistica d'amministrazione. Il movimento che nasce dal fallimento della politica tradizionale deve rilanciare un nuovo modo di fare politica, o deve rinunciare definitivamente alla politica? Si tratta di domande non nuove che si pongono in un contesto nuovo. Una cosa però è certa, ancora una volta, l'entrata in campo del movimento ridefinisce confini e ambiti della politica. Di questo bisogna tener conto ogni qual volta si fanno riferimenti al passato dei movimenti, e cioè al sessantotto ed, in particolare, agli anni settanta.