Gli Stati Uniti si trovano, dopo la crisi finanziaria, in una situazione analoga (se non peggiore) a quella del ?29. Ma oggi l?America non ha un Roosevelt che possa salvarla. Perché Roosevelt prese di petto Wall Street, che conosceva bene, e le impose nuove regole, riuscendo a dare al paese molti decenni di stabilità finanziaria. Obama, invece, si è alleato con Wall Street per diverse ragioni.
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La prima e più importante sta nella logica degli schieramenti: se allora la responsabilità del crack fu quasi totalmente repubblicana, oggi i legami fra i democratici e l?alta finanza americana sono diventati, dai tempi di Clinton, molto stretti. Non a caso è ancora Bob Rubin, ex ministro democratico del Tesoro, l?eminenza grigia di Wall Street anche dopo essere stato coinvolto nel fallimento di Citigroup. E Obama ha insediato a Washington l?intera squadra di Rubin: personaggi come Geithner e Summers, tra i principali responsabili del crack. Ecco perché Washington tace, sostanzialmente, su quanto è accaduto e sui motivi che le hanno fatto legittimare gli eccessi della finanza virtuale. E se è vero che i banchieri sono oggi al minimo storico della popolarità («so che se mi tagliassi le vene la gente farebbe festa», diceva all?inizio del novembre 2009 Lloyd Blankfein, numero uno di Goldman Sachs), anche Obama, inizialmente accompagnato da un certo favore popolare, rischia sempre più di lasciarsi travolgere dagli interessi delle élites finanziarie e di allontanarsi dalle esigenze del suo elettorato. Finendo con l?essere, quindi, solo un?altra espressione dell?establishment americano, anziché il vero homo novus della politica internazionale.