Trieste, Livorno e Taranto si lasciano alle spalle una notorietà e una prosperità economica legate a un'industria fiorente o alle fortune commerciali di un porto; e ora, esaurito il filone buono, hanno un futuro tutto da inventare per uscire dal cono d'ombra in cui sono finite.
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Trieste, in balìa dei suoi venti fin dentro le librerie e i caffè carichi di storie, il tram di Opicina, il Carso e i suoi vini austeri, i profumi d'Oriente. Livorno, la sua identità multiculturale, la città dei "5 e 5" al mercato vecchio, del "popolo del Basaglia" con il suo Atelier Blu Cammello, del cacciucco davanti al mare, degli chansonnier maledetti. La luce sconvolgente di Taranto, la città vecchia, le battaglie per la Riserva Naturale, per un teatro nel cuore del rione Tamburi, la ripresa dell'allevamento delle cozze, cibo identitario della città. "Gli autori, Paolo Merlini e Maurizio Silvestri, non rinunciano, da flâneur post-moderni, a indugiare nei posti più del necessario pur di afferrare dettagli, considerazioni, odori, parole. Perché è proprio attraverso gli scarti, i dettagli marginali, gli scampoli di vita, che è possibile capire di che pasta sia fatta, ancora oggi, l'anima di città come Trieste, Livorno a Taranto, e se sia ancora possibile afferrarla" (dalla prefazione di Alessandro Leogrande).