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Contemporaneo del francese Voltaire, il pastore irlandese Swift con i Viaggi di Gulliver, pubblica nel 1725, in piena epoca illuministica il resoconto dei viaggi presso particolari popoli. Una parodia, apologetica ironica e sarcastica, finanche altamente pedagogica, filosofica para-antropologica, che vale allegoricamente quanto il resoconto di viaggio di un Erodoto. Opera che non era, come non è oggi a rileggerla, opera dedicata ai bambini, tuttaltro. La maschera della fantasia nasconde una feroce e pessimistica critica della società (del tempo di Swift e nostro) dilaniata da guerre continue che ben si addice anche ad adolescenti e adulti . Un libro intelligentissimo che attraverso i capovolgimenti delle prospettive che propone, da Gulliver gigante a lillipuziano e viceversa, da Gulliver umano tra animali umani ed umane-bestie, mette in mostra quanto sia relativa la verità propugnata dai populismi dalle inossidabili certezze identitarie, così da rivelarle narrazioni della realtà inventata su cui fonda suprematismi sovranisti in ogni epoca. La pretesa razionalità altro non è che una convenzione, perché non essendo scienza, alle opinioni, come sosteneva Platone, quel che piace è opinare. I contemporanei di Swift maleodorano di vizi quanto le certezze di ogni tradizione paesana in odor di localismo. Tali sono tuttora le odierne ideologie protese alla costruzione di muri tra diversità umane anziché a cercare di comprendere i diversi punti di vista. Il che consentirebbe per lo meno di non essere ottusi almeno per giudicare quanto sia assurdo, ad esempio, guerreggiare come fanno i lillipuziani ed i loro vicini, per stabilire quale delle due, rompere le uova dalla punta oppure romperle dalla base, sia la più giusta e più vera modalità per aver diritto a comandare sulla terra.