Dettaglio del documento
- Lo trovi in
- Scheda
- Commenti
Per inserire il tuo commento o il tuo voto, devi comunicare il tuo codice utente e la tua password.
-
6 / 6 utenti hanno trovato utile questo commento29/04/2025
A cosa fa pensare la 'Storia della bruttezza'?
A cosa fanno pensare la 'Storia della bruttezza' e la 'Storia della bellezza" di Umberto Eco? Sarebbe un errore imperdonabile leggere la ‘Storia della bellezza’ (Bompiani, 2018) di Umberto Eco (1932-2016) senza leggere la sempre sua ‘Storia della Bruttezza' (Bompiani 207), e reciprocamente. Le due storie sono interdipendenti. Non è un caso che Lui, Eco, inizi a pubblicare del brutto prima del bello. Prima era l'indifferenziato, il ‘chaos’, lo dicono anche le scritture di tutte le civiltà. E l’armonia interviene solo successivamente. Mettere ordine (kosmos, da cui cosmetica) sarà la ginnastica a cui si dedicheranno alla nascita della culture occidentale i greci, popolo dell’occhio, per vedere città e leggi, regole a disintossicare il caos dalle sue imperfezioni, sotto la guida di Platone della filosofia, di Fidia e degli artisti che come lui volevano sottrarre all’incertezza del fato le cose umane. Le immagini di bellezza resisteranno anche se già ai tempi di Fidia, Nel V secolo a,C., c’era chi preferiva, senza conseguirne troppa fortuna, ritrarre il sensibile imperfetto per descrivere le cose. Il canone del ‘katà metron’, secondo misura, reggerà le sorti per XXV secoli come ritenuto il più adatto a descrivere e discernere il bello dal brutto. Forma e canone della forma, con la tecnica al serviz.o dell'arte. Ma è già dal XIX secolo le antiche certezze decisamente scricchiolano, anzi le streghe del Macbeth di Shakespeare, intonano danzando fin dal '600 la loro canzoncina amorale e nichilista: “Il bello è il brutto e il brutto è il bello”. Un po’ dovunque, non solo tra gli artisti, ma anche nelle società, La ricerca della verità nel XIX secolo la fa Dostoevskij con ‘l’idiota’, in letteratura, introducendo un avvertimento se non si vuole stare in quieto caos allucinatorio privo di canone: quale bellezza salverà il mondo se non la si può più riconoscere? Non certo il concetto e il pensiero scientifico da solo saprà rispondere al perché l’umanità non abbia mai saputo prescindere dalla ricerca della verità perseguendo l’idea del bello. E, tuttavia, l’approdo odierno, quello inaugurato dal moderno, mostra uno spiazzamento nel gratificarsi e gratificare di brutto e disgustoso l’uomo. La ricerca estetica o saprà giustificarsi e trovare un fondamento canonico ai giorni nostri, o il mondo non troverà verità in cui individuare bellezza, quella bellezza salvifica che in un modo o nell’altro assicuri incontrovertibilmente una ricerca di senso all’uomo. Una risposta nel XX secolo la forniscono in letteratura sia Mann (Il doctor Faustus, che Freud (con il suo ‘Caducità’), come in poesia e dipinti Caravaggio, Baudelaire e Kandinskij, a citarne solo alcuni. La bellezza, come la bruttezza, constano nel saper cogliere nel sim-bolo dell’operare umano ‘il segno’ di ciò che, se dia-bolizzato, non consente all’occhio e al gusto di riconoscere una parte eterna del desiderio di omologo significato per la vita di pari valore rispetto a quella del precario e mutevole. Una società che non accolga l’imperfezione come modo diverso per osservare la bellezza, una società che non sa legger Malic e i suoi dipinti, che non sa comprendere Wahrol per la storia nascosta che racconta, una societò che diserta le sale cinematografiche in cui il disgusto di Freaks (1932) viene proiettato, non ha spettatori in grado di capire più nulla e sa solo affidarsi al modello imposto dai media della comunicazione e ai loro calcoli economici. Il vero orrore di un opera non sta in quello che fa pensare anche tramite il disgustoso ma in quello che, esponendoci al disgustoso propone ottundimento di comprensione e di autonomia di giudizio. Un orrore da libertà obbligatoria che soddisfa la passività e rinuncia al protagonismo intellettuale critico alla ricerca del bello e del buono kaloagathico, definisce la società che non si pone neppure più la domanda sulla natura della bellezza che salverà il mondo. E quella società è l’odierna occidentale. Umberto Eco, con l suaHai trovato utile questo commento?SI NO | Segnala come inappropriato